L’archivio di Ado Furlan si conserva nel castello di Spilimbergo, dove l’artista ha trascorso gli ultimi anni di vita.
Composto da un insieme di materiali eterogenei, esso permette di ricostruire nel dettaglio non solo la sua vicenda privata, ma anche e soprattutto la sua attività di scultore, dagli anni di studio all’Accademia di Venezia all’immediato dopoguerra, allorché, conclusa l’esperienza romana (1939-1942), si stabilì nuovamente a Pordenone.
Anche il successivo ventennio, vissuto in buona parte nella città natale e dal 1966 a Spilimbergo, è ben documentato, ma in maniera meno sistematica. I nuclei di maggior interesse sono costituiti dai premi artistico-letterari della Pro Pordenone, dall’attività della galleria d’arte “Il Camino” (da lui fondata nel 1957) e infine – dopo la mostra antologica dedicatagli dalla Pro Spilimbergo nel 1968 – dalla ripresa dei rapporti con alcuni amici di vecchia data, tra cui Pericle Fazzini, Luigi Montanarini, Silvio Olivo e il fonditore veneziano Ferruccio Bianchi.
Tra i vari documenti che lo compongono (fotografie, disegni, ritagli di giornale, riviste, carte relative al laboratorio di lavorazione del marmo ereditato dal padre ecc.), la parte più cospicua è rappresentata dalla corrispondenza privata e di lavoro. Oltre alle lettere ai famigliari, rientrano nel primo gruppo le numerose missive a lui indirizzate dagli amici artisti nel corso di circa mezzo secolo. Al secondo gruppo appartiene invece la corrispondenza relativa alle principali commissioni pubbliche e private assunte da Furlan soprattutto tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento: corrispondenza che – cosa piuttosto rara e sorprendente – può essere letta in parallelo con le decine e decine di lettere degli artigiani e/o artisti di cui egli si è servito per la fusione in bronzo o la traduzione in marmo delle proprie opere.
Appassionato lettore e bilbiofilo, sin dai primi anni Trenta del Novecento Ado Furlan ha cominciato a raccogliere libri di arte, storia, letteratura e argomenti vari. Incrementata soprattutto durante la sua permanenza a Roma, ma accresciuta anche negli anni successivi, la sua biblioteca è costituita da circa tremila volumi, conservati anch’essi nel castello di Spilimbergo.